Un caffè con Tatiana Olear

 Un caffè con Tatiana Olear

Direttrice della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano

La Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, fondata ormai più di 70 anni fa da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, fa parte della rete delle Scuole Civiche di Fondazione Milano ed è riconosciuta,
in Italia e in Europa, grazie a una offerta formativa valida e diversificata: quali sono i corsi e come si intrecciano?

I corsi che abbiamo all’interno sono cinque, quattro dei quali sono curriculum accademici e si chiamano attualmente Recitazione, Regia, Scrittura per lo Spettacolo e Danza contemporanea. Oltre a questi c’è il corso di organizzazione dello spettacolo che non rilascia il diploma accademico. Ci sono quindi questi diversi profili artistici che studiano insieme e fanno parto dello stesso organismo (cosa unica in Italia) generando continue intersezioni tra i corsi.

Per fare un esempio: i drammaturghi fanno recitazione insieme agli attori, poi studiano sound design insieme ai registi, poi studiano drammaturgia della danza, perché non vengono formati solo per scrivere un testo teatrale tradizionale come lo immaginiamo, tipo Shakespeare e Ibsen, o ma sanno che lavoreranno con performers di di vario tipo, che possono essere anche cantanti, circensi, che possono essere perfino persone normali, che non non hanno mai studiato, perché all’interno di dei nostri programmi c’è anche il teatro partecipato.

Spingiamo quindi i nostri allievi a cercare incontri anche con quello che inizialmente non avevano contemplato quando erano entrati nella nostra scuola permettendo, oltre alla contaminazione interna tra le carriere, anche quella con l’esterno. Quindi benvenuta arte figurativa, in collaborazione con Brera e diversi musei. Benvenuta musica, in collaborazione con l’orchestra sinfonica di Milano.
Benvenute nuove tecnologie,  in collaborazione con la Visconti, la nostra consorella scuola civica di cinema.

Benvenuta internazionalizzazione.
In questo periodo storico, in cui sono state sfondate tutte le frontiere e molto si è globalizzato, i generi, sia umani che delle arti, non sono più considerati puri, fissi e immutabili.
Così, dentro tutta questa mutazione, dentro tutto questo mescolarsi, ovviamente noi non possiamo  non seguire il presente e non fare altrettanto.

Eppure viviamo in un’epoca che tende alla iper specializzazione, in cui spesso ci formiamo e ci adattiamo a un mondo del lavoro che parrebbe richiedere competenze sempre più specifiche…

Penso che è il discorso della iper specializzazione potrebbe essere più appropriato per il sistema universitario di tipo scientifico, mentre nel nostro campo artistico io credo che una visione non sincretica sia penalizzante per i giovani artisti che vivono adesso, confrontandosi con la società attuale. Non è pensabile che un attore o un’attrice faccia per tutta la vita l’attore teatrale o lavori solo in teatro, perché il sistema non glielo garantisce.

Invece ci sono tantissimi altri campi in cui può essere impiegata l’arte della recitazione, a partire dalle cose più ovvie come cinema o televisione, per arrivare anche a eventi performativi nei musei, sui territori, in natura.

Qual è stato il tuo progetto interdisciplinare preferito fra quelli che hai curato negli ultimi anni?

Difficile scegliere, sono tutte creature molto amate. Però probabilmente quello più a cui sono più affezionata è il progetto Teste Inedite. Coinvolge praticamente tutta la scuola ed è il progetto di diploma dei nostri studenti del corso di scrittura.

Negli anni è capitato veramente di tutto e ogni volta sono sorprese. Che cosa esce fuori da queste teste, appunto, inedite? Ogni anno ci impegniamo in maniera diversa. Cerchiamo partenariati appositi per permettere ai nostri studenti di sperimentare liberamente in tutta questa molteplicità di forme. È stato bello. Alcune edizioni le abbiamo fatto all’interno della scuola, poi presso il teatro Franco parenti. E adesso siamo atterrati all’Elfo che ci ha un po’ adottati dopo un altro progetto, sempre multidisciplinare, che si chiama Ricordare il Futuro.

Quando si parla di progetti multidisciplinari ci si focalizza spesso, come stiamo facendo, sul valore dell’arricchimento e sulla libertà nello scambio. Secondo la tua esperienza quali sono invece i problemi di tale incontro? Ci sono casi in cui sarebbe addirittura da evitare?

Quando si decide di spingersi nel campo dell’ interdisciplinarietà bisogna sempre ricordare due cose. La prima è che i progetti multidisciplinari sono costosi. Ci vogliono più tempo e risorse per creare un progetto del genere, specialmente se non si tratta di un gruppo che è già abituato a lavorare insieme. Ognuno degli artisti specialisti ha un linguaggio proprio, una forma mentis diversa. Perciò è necessario spendere del tempo per creare il linguaggio comune.

Non si può prescindere da questa fase. L’altro pericolo in cui si può incappare è l’assenza di un progetto unitario che unisca tutta questa gente così diversa e li incanali e li motivi a lavorare verso un obiettivo comune. Ho visto progetti multidisciplinari naufragare oppure dare risultati modesti o addirittura imbarazzanti quando non era chiaro l’obiettivo comune.

Prima di salutarvi è importante ricordare che, nel momento in cui trascrivo questa intervista,
Il contributo economico del Comune di Milano alle Scuole Civiche è minacciato da tagli avventati, irresponsabili e insostenibili – fino a una riduzione di circa due terzi entro il 2026 – che mettono a rischio l’integrità e la qualità dell’offerta didattica.
Le scuole hanno quindi deciso di lanciare una petizione che potete trovare qui